Ecco una mostra che va visitata al più presto!
A metà strada fra pop, minimal e conceptual art, le opere di Richard Artshwager tracciano un percorso artistico originale.
Da come possiamo leggere nel comunicato stampa, nella mostra romana, ospitata dalla Gagosian Gallery in via Francesco Crispi 16 da giovedì 27 settembre al 31 ottobre, Artschwager riprende un suo prediletto filo concettuale iniziato con l'opera Piano (1965), uno dei suoi primi simil-mobili dall'aspetto cartoonesco e dal profilo squadrato.
Quest'opera, in prestito dalla collezione Castelli, è presentata insieme ad altri "classici" di Artschwager, come il gigantesco Exclamation Mark e Mirror. Il pezzo forte della mostra è composto da quattro sculture-pianoforti e incarna il gusto musicale dell'artista per il contrappunto e la fuga metafore perfette del nostro modo di vivere nella società contemporanea estraneandoci spesso dalla stessa.
Infatti, citando il colunicato stesso: "gli straordinari pianoforti di Artschwager sostengono una confusione attentamente orchestrata tra pittura e scultura e ci ricordano che siamo nel regno dell'arte e non nella realtà".
Questo artista classe, 1923, nasce a Washington ma vive e lavora a New York. Ha mosso i suoi primi passi nel mondo dell'arte intorno ai primi anni '50, proprio mentre la Pop Art e la Minimal Art mettevano definitivamente a tappeto il concetto di arte unica e irripetibile.
Il suo lavoro è stato spesso ricollegato alle due correnti artistiche, alla Pop Art per la funzionalità degli oggetti e per l'uso di materiali commerciali e industriali; alla Minimal Art per il suo linguaggio geometrico ed essenziale. Ma le due correnti non sono sufficienti per spiegare la sua ricerca poliedrica e ricca di rimandi.
I suoi lavori per esempio sono un ibrido tra mobili di design e sculture vere e proprie.
Predilige i materiali sintetitici:i suoi preferiti sono fòrmica e celotex.
Fa un uso di riferimenti fumettistici quali punti esclamativi, interrogativi e parentesi: sicuramente vi sarete già imbattuti in sculture e gigantografie 3D con segni di interpunzione, riprodotti con materiali morbidi o solidi.
Nella mostra di Roma Artschwager riprende un filo concettuale iniziato con Piano (1965). Come scritto nel comunicato stampa "gli straordinari pianoforti di Artschwager sostengono una confusione attentamente orchestrata tra pittura e scultura e ci ricordano che siamo nel regno dell'arte e non nella realtà".
La musica e le sue partiture entrano nel mondo di quest'artista per essere scompaginate con variazioni minime. Ad esempio i tasti bianchi, riprodotti sui parallelepipedi ricoperti in formica, hanno dimensioni diverse (i tasti del fa, sol e la sono più grandi rispetto a quelli del do, re, mi e si). Tanto quanto basta per fuorviarci ancora una volta.
Sempre dal comunicato stampa: "Nel sorprendente universo metaforico di Artschwager, nulla è mai soltanto un'unica cosa (...) un pianoforte è al tempo stesso un mobile, una scultura e un'immagine".
Il suo lavoro è sempre rimasto ancorato all'ambiguità della percezione, nell'interazione tra osservazione e illusione. Oggetti solo apparentemente riconoscibili che stuzzicano i piani dello sguardo e della mente.
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