Se avete ancora tempo, non perdere la
mostra alla Fondazione Peggy Guggenheim
su Josef Albers e il Messico. La mostra è comunque aperta fino al 3 settembre.
Mostra assolutamente da abbinare, a
due passi da li, con quella a Campo Santo Stefano nel Palazzo Loredan (Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti)
intitolata “il mondo che non c’era: l’arte precolombiana nella collezione
Ligabue”, questa però di imminente chiusura (prevista per il 30 giugno !).
Alla Fondazione Peggy Guggenheim,
fotografie, appunti e opere raccontano le influenze del mondo precolombiano
nell’arte del grande astrattista Josef Albers.
Il lavoro di Josef
Albers (Bottrop, Germania, 1888 – New Haven, Connecticut, 1976) al quale la
Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia dedica questa bella mostra viene
presentato attraverso la ricostruzione del viaggio dell’artista verso quella
“terra promessa dell’arte astratta” che fu il Messico, visitata ripetutamente da
Albers e dalla moglie a partire dai primi anni Trenta. La mostra cerca di
far luce su quello che fu il legame tra
la sua arte astratta e le forme architettoniche dei monumenti precolombiani. “Albers
ha sempre sostenuto, nell’arco della sua carriera, che la sua arte doveva
aprire gli occhi”, spiega la curatrice Lauren Hinkson, "così oggi questa
esposizione deve aprire gli occhi del pubblico, che all’interno delle sale
espositive potrà immergersi nella luce che penetra dalle finestre aperte su
Venezia e scoprire quegli aspetti
ancora poco noti della vasta produzione dell’artista, comprese
fotografie e foto-collage, qui allestite come una sorta di collage cinematografici”.
I vasti spazi del
Messico e l’imponente scala dei monumenti Maya sollecitarono nella mente
dell’artista tedesco il tema fondamentale dello spazio e della sua
configurazione. Non vi è niente di esotico, di remoto o metafisico nello
sguardo di Albers: la realtà è lì davanti ai suoi occhi e ciascun oggetto, dal
più piccolo al mastodontico, impone una riflessione attorno al tema dello
spazio e dei rapporti formali che intercorrono tra gli elementi che lo
definiscono.
Non stupisce quindi il fatto di imbattersi
in vere e proprie dissertazioni teoriche di Albers attorno ai principi spaziali
che trovano forza in ogni immagine scattata o che vengono rilevate da altre
fonti nelle sue numerose lettere, così come il lascito teorico che fece di
Albers quale docente del Bauhaus (e poi in America al Black Mountain College e
a Yale) nell’educare generazioni di artisti alle regole della composizione e
del colore. Egli scriverà, infatti, all’amico Kandinsky, “il Messico è senz’altro la terra promessa
dell’arte astratta”.
È proprio il colore,
l’altro grande tema che permea tutta l’opera di Albers e in particolare il suo
intenso legame con l’esperienza messicana. Al di là degli iconici Omaggio
al quadrato(1950-1976), e Variante/Adobe(1947-1952), vi sono
altre piccole ma straordinarie testimonianze della sensibilità di Albers verso
il colore, che si possono facilmente avvicinare all’opera di un grande
maestro dell’architettura, il messicano Luis Barragán (1902-1988), amico degli
Albers, che negli stessi anni stava imprimendo lo stesso rigore formale e
cromatico per la realizzazione delle sue architetture.
Con lettere, studi, fotografie
inedite, e una serie di dipinti provenienti dal museo Solomon R. Guggenheim di
New York, dove la mostra è stata precedentemente ospitata, e dalla Fondazione
Anni e Josef Albers, l’esposizione permette, dunque, di contestualizzare
ulteriormente la ancor poco nota produzione fotografica di Albers, offrendo
così una nuova lettura dei suoi più celebri lavori astratti.
Il nostro viaggio continua a Palazzo Loredan: è qui che arriva a
Venezia, dopo il successo di Firenze, Rovereto e Napoli, la grande mostra che ci fa conoscere “Il mondo che non c’era”. Capolavori della Collezione
Ligabue ci accompagnano in uno
spettacolare viaggio nelle civiltà precolombiane.
È una straordinaria esposizione dedicata a
queste tante e diverse civiltà
che avevano prosperato per migliaia di anni in quelle terre. Un corpus di
capolavori (esposti al pubblico in gran
parte per la prima volta grazie a questo progetto) espressione delle
grandi civiltà della cosiddetta Mesoamerica
(gran parte del Messico, Guatemala, Belize, una parte dell’Honduras e del
Salvador) e il territorio di Panama.
La mostra racconta le Ande (Colombia, Ecuador, Perù e
Bolivia, fino a Cile e Argentina), dagli
Olmechi ai Maya, dagli Aztechi ai Tairona; dalla cultura Chavin, a Tiahuanaco e
Moche, fino agli Inca.
Tra la fine del XV e gli albori del
XVI secolo l’Europa viene scossa da una scoperta epocale: le “Indie”, “Il mondo
che non c’era”. Un evento che scardina la visione culturale del tradizionale
asse Roma - Grecia – Oriente; l’incontro di un nuovo continente; l’evento forse più importante nella storia
dell’umanità secondo l’antropologo Claude Lévi-Strauss.
Promossa dalla Fondazione Giancarlo
Ligabue di Venezia con il sostegno del Comune di Venezia e della Regione
Veneto, la mostra presenta un nucleo
scelto di opere della vasta Collezione Ligabue.
A quasi due anni dalla sua
scomparsa, questa esposizione vuole essere anche un doveroso omaggio alla
figura di Giancarlo Ligabue
(1931- 2015) - paleontologo, studioso
di archeologia e antropologia, esploratore, imprenditore illuminato,
appassionato collezionista - da parte del figlio Inti che, con la
“Fondazione Giancarlo Ligabue” da lui creata, continua l’impegno nell’attività
culturale, nella ricerca scientifica e nella divulgazione e dopo l’esperienza
del Centro Studi e Ricerche fondato oltre 40 anni fa dal padre Giancarlo. Oltre
infatti ad aver organizzato più di 130
spedizioni in tutti i continenti, partecipando personalmente agli scavi
e alle esplorazioni - con
ritrovamenti memorabili conservati ora nelle collezioni museali dei diversi
paesi - Giancarlo Ligabue ha dato vita negli anni a un’importante collezione
d’oggetti d’arte, provenienti da moltissime culture.
Insomma, come già scritto,
lasciamoci stavolta travolgere da un viaggio particolare e meraviglioso, … cogliendo altre occasioni – per ora - per ammirare la
Biennale … che ci aspetta entro novembre nella Serenissima!
Aymone Poletti
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