mercoledì 20 giugno 2018

NON SOLO BIENNALE • 2


Se avete ancora tempo, non perdere la mostra alla Fondazione Peggy Guggenheim su Josef Albers e il Messico. La mostra è comunque aperta fino al 3 settembre.
Mostra assolutamente da abbinare, a due passi da li, con quella a Campo Santo Stefano nel Palazzo Loredan (Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti) intitolata “il mondo che non c’era: l’arte precolombiana nella collezione Ligabue”, questa però di imminente chiusura (prevista per il 30 giugno !).


Alla Fondazione Peggy Guggenheim, fotografie, appunti e opere raccontano le influenze del mondo precolombiano nell’arte del grande astrattista Josef Albers.

Il lavoro di Josef Albers (Bottrop, Germania, 1888 – New Haven, Connecticut, 1976) al quale la Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia dedica questa bella mostra viene presentato attraverso la ricostruzione del viaggio dell’artista verso quella “terra promessa dell’arte astratta” che fu il Messico, visitata ripetutamente da Albers e dalla moglie a partire dai primi anni Trenta. La mostra cerca di far luce su quello che fu il legame tra la sua arte astratta e le forme architettoniche dei monumenti precolombiani. “Albers ha sempre sostenuto, nell’arco della sua carriera, che la sua arte doveva aprire gli occhi”, spiega la curatrice Lauren Hinkson, "così oggi questa esposizione deve aprire gli occhi del pubblico, che all’interno delle sale espositive potrà immergersi nella luce che penetra dalle finestre aperte su Venezia e scoprire quegli aspetti ancora poco noti della vasta produzione dell’artista, comprese fotografie e foto-collage, qui allestite come una sorta di collage cinematografici”.

I vasti spazi del Messico e l’imponente scala dei monumenti Maya sollecitarono nella mente dell’artista tedesco il tema fondamentale dello spazio e della sua configurazione. Non vi è niente di esotico, di remoto o metafisico nello sguardo di Albers: la realtà è lì davanti ai suoi occhi e ciascun oggetto, dal più piccolo al mastodontico, impone una riflessione attorno al tema dello spazio e dei rapporti formali che intercorrono tra gli elementi che lo definiscono. 

Non stupisce quindi il fatto di imbattersi in vere e proprie dissertazioni teoriche di Albers attorno ai principi spaziali che trovano forza in ogni immagine scattata o che vengono rilevate da altre fonti nelle sue numerose lettere, così come il lascito teorico che fece di Albers quale docente del Bauhaus (e poi in America al Black Mountain College e a Yale) nell’educare generazioni di artisti alle regole della composizione e del colore. Egli scriverà, infatti, all’amico Kandinsky, “il Messico è senz’altro la terra promessa dell’arte astratta”.
È proprio il colore, l’altro grande tema che permea tutta l’opera di Albers e in particolare il suo intenso legame con l’esperienza messicana. Al di là degli iconici Omaggio al quadrato(1950-1976), e Variante/Adobe(1947-1952), vi sono altre piccole ma straordinarie testimonianze della sensibilità di Albers verso il colore, che si possono facilmente avvicinare all’opera di un grande maestro dell’architettura, il messicano Luis Barragán (1902-1988), amico degli Albers, che negli stessi anni stava imprimendo lo stesso rigore formale e cromatico per la realizzazione delle sue architetture.
Con lettere, studi, fotografie inedite, e una serie di dipinti provenienti dal museo Solomon R. Guggenheim di New York, dove la mostra è stata precedentemente ospitata, e dalla Fondazione Anni e Josef Albers, l’esposizione permette, dunque, di contestualizzare ulteriormente la ancor poco nota produzione fotografica di Albers, offrendo così una nuova lettura dei suoi più celebri lavori astratti.



Il nostro viaggio continua a Palazzo Loredan: è qui che arriva a Venezia, dopo il successo di Firenze, Rovereto e Napoli, la grande mostra che ci fa conoscere “Il mondo che non c’era”. Capolavori della Collezione Ligabue ci accompagnano in uno spettacolare viaggio nelle civiltà precolombiane.

È una straordinaria esposizione dedicata a queste tante e diverse civiltà che avevano prosperato per migliaia di anni in quelle terre. Un corpus di capolavori (esposti al pubblico in gran parte per la prima volta grazie a questo progetto) espressione delle grandi civiltà della cosiddetta Mesoamerica (gran parte del Messico, Guatemala, Belize, una parte dell’Honduras e del Salvador) e il territorio di Panama.
La mostra racconta le Ande (Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia, fino a Cile e Argentina), dagli Olmechi ai Maya, dagli Aztechi ai Tairona; dalla cultura Chavin, a Tiahuanaco e Moche, fino agli Inca.

Tra la fine del XV e gli albori del XVI secolo l’Europa viene scossa da una scoperta epocale: le “Indie”, “Il mondo che non c’era”. Un evento che scardina la visione culturale del tradizionale asse Roma - Grecia – Oriente; l’incontro di un nuovo continente; l’evento forse più importante nella storia dell’umanità secondo l’antropologo Claude Lévi-Strauss.


Promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue di Venezia con il sostegno del Comune di Venezia e della Regione Veneto, la mostra presenta un nucleo scelto di opere della vasta Collezione Ligabue.



A quasi due anni dalla sua scomparsa, questa esposizione vuole essere anche un doveroso omaggio alla figura di Giancarlo Ligabue (1931- 2015) - paleontologo, studioso di archeologia e antropologia, esploratore, imprenditore illuminato, appassionato collezionista - da parte del figlio Inti che, con la “Fondazione Giancarlo Ligabue” da lui creata, continua l’impegno nell’attività culturale, nella ricerca scientifica e nella divulgazione e dopo l’esperienza del Centro Studi e Ricerche fondato oltre 40 anni fa dal padre Giancarlo. Oltre infatti ad aver organizzato più di 130 spedizioni in tutti i continenti, partecipando personalmente agli scavi e alle esplorazioni - con ritrovamenti memorabili conservati ora nelle collezioni museali dei diversi paesi - Giancarlo Ligabue ha dato vita negli anni a un’importante collezione d’oggetti d’arte, provenienti da moltissime culture.


Insomma, come già scritto, lasciamoci stavolta travolgere da un viaggio particolare e meraviglioso, … cogliendo altre occasioni – per ora -  per ammirare la Biennale … che ci aspetta entro novembre nella Serenissima!

Aymone Poletti


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