Oggi è mancato Gabriele Basilico, uno dei maestri
della fotografia contemporanea
di Amanda Prada e Aymone Poletti
Gabriele Basilico, uno dei più noti fotografi italiani, lascia un vuoto culturale impressionante.
Appassionato di architettura ma innamorato della fotografia, ha lavorato, nel corso del tempo, su diverse città e sul loro spazio urbano: da Milano a Beirut da Bolzano a Berlino; primo e unico italiano, fra l’altro, a partecipare, nel 1984, alla prestigiosa missione fotografica francese Datar.
Le mostre e i libri di Gabriele Basilico costituiscono sempre un momento di riflessione importante sulla fotografia del paesaggio.
La sua ricerca che spazia ben al di là dei confini della mera fotografia documentaria, è, infatti, un punto di riferimento obbligato per quanti oggi si occupano di fotografia e di urbanistica.
In una recente intervista Basilico ha dichiarato: «E’ certo che io faccio fotografie in relazione al principio e all’esperienza estetica della “visione”. In questo senso io sono pienamente fotografo. Ma è anche vero che la fotografia, e non solo come linguaggio, è entrata da parecchio tempo, e a buon diritto, nel mondo dell’arte. Sono convinto però che un’unità della fotografia nel grande bacino della ricerca artistica è un’idea troppo riduttiva: una cosa è usare la fotografia come linguaggio per comunicare un’opera concepita in modo diverso (per esempio un’installazione), un’altra cosa è pensare «fotograficamente», interpretandola, la realtà».
Vogliamo ricordarlo attraverso un breve testo che ci ha fornito Amanda Prada, che prende spunto da un'introduzione redatta
in occasione dell’evento indetto all’Accademia di architettura di Mendrisio
(Università della Svizzera italiana) che lo aveva ospitato il 28 ottobre del
2010.

La sua poetica ci attornia di desolazione e di oblio, con una forza che ci pervade e ci domina, riconducendoci alla nostra più reale condizione umana: quella di essere posseduti dal tempo tentando continuamente di rinnegarlo.
"Con le
sue immagini, dalla controllata, consapevole tensione metafisica, egli ha
efficacemente collaborato a presentare in questi ultimi anni il gusto post moderno,
rilevando visivamente alcune dimenticate architetture industriali e di
periferia, rivalutate come reperti archeologici e fissate con un chiaroscuro
intenso ed una prospettiva sfuggente e basculata, nello stile sofisticato anni
’30" Italo Zannier, Storia della fotografia italiana, Ed.
Laterza, Bari 1986 - pag. 383. ISBN 88-420-2778-2
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