mercoledì 13 febbraio 2013

Oggi è mancato Gabriele Basilico, uno dei maestri della fotografia contemporanea.


Oggi è mancato Gabriele Basilico, uno dei maestri della fotografia contemporanea
di Amanda Prada e Aymone Poletti
Gabriele Basilico, uno dei più noti fotografi italiani, lascia un vuoto culturale impressionante.
Appassionato di architettura ma innamorato della fotografia, ha lavorato, nel corso del tempo, su diverse città e sul loro spazio urbano: da Milano a Beirut da Bolzano a Berlino; primo e unico italiano, fra l’altro, a partecipare, nel 1984, alla prestigiosa missione fotografica francese Datar. 


Le mostre e i libri di Gabriele Basilico costituiscono sempre un momento di riflessione importante sulla fotografia del paesaggio.
La sua ricerca che spazia ben al di là dei confini della mera fotografia documentaria, è, infatti, un punto di riferimento obbligato per quanti oggi si occupano di fotografia e di urbanistica. 

In una recente intervista Basilico ha dichiarato: «E’ certo che io faccio fotografie in relazione al principio e all’esperienza estetica della “visione”. In questo senso io sono pienamente fotografo. Ma è anche vero che la fotografia, e non solo come linguaggio, è entrata da parecchio tempo, e a buon diritto, nel mondo dell’arte. Sono convinto però che un’unità della fotografia nel grande bacino della ricerca artistica è un’idea troppo riduttiva: una cosa è usare la fotografia come linguaggio per comunicare un’opera concepita in modo diverso (per esempio un’installazione), un’altra cosa è pensare «fotograficamente», interpretandola, la realtà».
Vogliamo ricordarlo attraverso un breve testo che ci ha fornito Amanda Prada, che prende spunto da un'introduzione redatta in occasione dell’evento indetto all’Accademia di architettura di Mendrisio (Università della Svizzera italiana) che lo aveva ospitato il 28 ottobre del 2010.
 (…) “Con le mie immagini – appunta Basilico – amo indagare la realtà delle periferie delle grandi metropoli, trovo molto interessante lavorare su di esse, è come un tentativo di rileggere nei sobborghi una realtà ricostruita dalla mia sensibilità”. E ancora: “Vedo la città come un grande corpo che respira, un corpo in crescita, in trasformazione e mi interessa coglierne i segni, osservarne la forma, come un medico che indaga le trasformazioni del corpo umano. Cerco in continuazione ogni punto di vista, come se la città fosse un labirinto e lo sguardo cercasse un punto di penetrazione”.
I viaggi per immagini di Basilico ci conducono per le vie delle città, alla scoperta delle loro evoluzioni architettoniche e antropologiche, immergendoci nelle dinamiche di crescita, a volte spontanee e disordinate, che si intrecciano e dove talvolta convivono tradizioni diverse. La forma e l’identità delle città, lo sviluppo delle metropoli, i mutamenti in atto nel paesaggio postindustriale sono, infatti, i suoi ambiti di ricerca privilegiati. La periferia industriale è, ad esempio, l’oggetto di Milano, ritratti di fabbriche, il primo lungo lavoro sulla periferia industriale, protagonista della prima mostra di Basilico in un museo, al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, nel 1983.  La trasformazione del paesaggio francese è invece al centro di Bord de mer, con cui Basilico partecipa, unico italiano insieme al Gotha della fotografia internazionale, alla Mission photographique de la DATAR (Délégation à l’Aménagement du Territoire et à l’Action Régionale), un grande incarico governativo. All’inizio degli anni Novanta documenta, invece, le devastazioni di una guerra civile durata quindici anni sulla città di Beirut. Da allora, Gabriele Basilico ha prodotto e partecipato a moltissimi progetti di documentazione in Italia e all’estero, che hanno dato vita a mostre e libri. Tra i lavori più recenti Silicon Valley, realizzato su incarico del MoMa di San Francisco, Roma 2007, per conto del Festival Internazionale di Fotografia 2008, e Mosca Verticale, ripresa dalla sommità delle Sette Torri Staliniane, senza dimenticare lavori sul contesto urbano di Rio de Janeiro ed vedute di Istambul.

La sua poetica ci attornia di desolazione e di oblio, con una forza che ci pervade e ci domina, riconducendoci alla nostra più reale condizione umana: quella di essere posseduti dal tempo tentando continuamente di rinnegarlo.
"Con le sue immagini, dalla controllata, consapevole tensione metafisica, egli ha efficacemente collaborato a presentare in questi ultimi anni il gusto post moderno, rilevando visivamente alcune dimenticate architetture industriali e di periferia, rivalutate come reperti archeologici e fissate con un chiaroscuro intenso ed una prospettiva sfuggente e basculata, nello stile sofisticato anni ’30" Italo Zannier, Storia della fotografia italiana, Ed. Laterza, Bari 1986 - pag. 383. ISBN 88-420-2778-2


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