È scomparso ad ottanticinque anni il grande artista Shozo Shimamoto, uno dei padri del Gruppo Gutai.
L'artista è mancato lo scorso 25 gennaio, ma la notizia è stata diffusa solo ieri.
È stato membro del gruppo Gutai, da lui fondato ad Ashiya (tra Kobe e Osaka, Giappone) nel 1954 in coppia con Jiro Yoshihara.
Fu infatti Shimamoto che suggerì per il nome del gruppo quello di "Gutai", che significa "concreto", in opposizione ad astratto/teorico.
Pioniere della Mail Art, con una capacità senza precedenti nel passare di stile e medium, Shimamoto si è espresso non solo attraverso la pittura ma anche con performances, la fotografia e la Body Art. Il manifesto del movimento, firmato nel 1956 dal collega Yoshihara, fu d'ispirazione per le correnti future, per gli happening e per Fluxus che si stavano affacciando alla scena internazionale.
Gutai funse dunque da importante apripista per le azioni di Allan Kaprow (memorabili i suoi Happenings) e Nam June Paik (per le sue opere attraverso la videoarte). Un successo che non conosce fine e che viene continuamente alimentato da importanti mostre,... basti ricordare la sala dell'ex Padiglione Italia ai Giardini della Biennale di Venezia nel 2009, quando un'intero spazio fu dedicato alle poetiche e alle sperimentazioni di Gutai, oppure al Guggenheim di New York, che aprirà il prossimo 15 febbraio la mostra "Gutai: Splendid Playground”.
Ma oggi che Shimamoto è scomparso, Gutai perde la sua grande anima, dopo la scomparsa di Yoshihara, nell'ormai lontano 1972.
E proprio per questo, vogliamo ancora ricordare il pensiero del gruppo Gutai, comunque vivo e sempre attuale, attraverso le parole di Jiro Yoshihara: “all’epoca pensavamo, e ne siamo tuttora convinti, che la più grande eredità dell’astrattismo consistesse nel superamento dell’arte figurativa per aprire la strada alla possibilità di creare un nuovo spazio indipendente, autenticamente creativo. Abbiamo deciso che avremmo esplorato con forza le potenzialità della creazione artistica pura. Per tradurre in termini concreti uno spazio astratto, è sembrato necessario coniugare le doti personali dell’artista con le caratteristiche della materia. Ci ha sorpreso scoprire che combinando l’inclinazione individuale e il materiale prescelto nel crogiolo dell’automatismo è possibile creare uno spazio non ancora visto né conosciuto.”
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